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1 Aprile 2025

AIFI: Nuovi modelli di private capital per lo sviluppo dell’economia reale

15 operatori negli ultimi anni hanno ampliato le proposte di asset class

Crescita dei soci AIFI e delle loro attività vanno di pari passo. Se il numero degli associati, nel 2024, è arrivato a 183 soggetti eterogenei sia per grandezza sia per attività svolta, quello del portafoglio del private equity e venture capital lo vediamo composto da quasi 2.400 società e il comparto del private debt, negli ultimi cinque anni segna investimenti in oltre 600 aziende. Tutto questo mondo occupa complessivamente oltre 850 mila dipendenti. Nel corso degli anni il mercato del private capital è cresciuto molto, sia a livello internazionale sia in Italia, e insieme alla crescita si sono osservati importanti cambiamenti nelle caratteristiche e nei modelli di business dei soggetti che svolgono questa attività. Di questo si è parlato nel Convegno annuale AIFI tenutosi presso la sede di Assolombarda e con il contributo di KPMG.

“La raccolta di capitali e gli investitori istituzionali sono cambiati nel tempo, mentre a livello internazionale, quelli tradizionali hanno incrementato il peso degli asset alternativi nel proprio portafoglio, e al loro fianco sta ricoprendo un ruolo sempre più importante la ricchezza privata come asset manager e family office, in Italia la raccolta rimane la parte più complicata dell’attività, anche se ci sono alcuni segnali confortanti e le performance del mercato risultano molto positive” - afferma Innocenzo Cipolletta presidente AIFI.

Nello specifico, in Italia si osserva una specializzazione settoriale, dove 24 operatori di private equity e venture capital domestici hanno un focus tematico, di cui la metà sulla tecnologia. Inoltre, vediamo un ampliamento dell’offerta, con 15 operatori negli ultimi anni che hanno ampliato le proposte di asset class, in alcuni casi configurandosi come vera e propria piattaforma multi-asset. Quasi tutti i più importanti asset manager si dedicano anche agli investimenti alternativi. A livello internazionale si raccolgono fondi sempre più grandi: i cinque fondi di private equity più grandi del periodo 2022-2024 hanno raccolto oltre 100 miliardi di euro e oggi molti gestori di private capital, principalmente di origine americana, hanno in gestione asset superiori a 100 miliardi di dollari. In Italia, invece, gli operatori sono più piccoli e oltre la metà dei soggetti ha in gestione complessivamente meno di 200 milioni di euro.

“Nel 2024, a livello globale, inflazione e tassi d’interesse sono diminuiti, creando condizioni più favorevoli al mercato M&A – commenta Stefano Cervo, Partner KPMG, Head of Private Equity. Nel Private Equity i valori degli investimenti e degli exit sono aumentati e sono tornati i mega-deal. Gli exit restano comunque ai livelli più bassi del decennio, creando pressioni sulle distribuzioni agli investitori. Nonostante l’attuale incertezza macroeconomica e geopolitica, la liquidità disponibile ed il numero di asset in portafoglio degli operatori che dovrà arrivare sul mercato ci rendono moderatamente ottimisti anche per il 2025”. 

I player attivi in Italia sono molto eterogenei e questo si vede anche nei dati sulla dimensione media degli investimenti che sono stati realizzati negli ultimi due anni, infatti i private equity domestici chiudono operazioni più piccole, in media di 16 milioni, in Pmi, spesso a conduzione familiare che hanno bisogno di crescere e internazionalizzarsi.

Gli operatori internazionali impegnano capitali più considerevoli, in aziende più strutturate, con una media di 55 milioni di euro a intervento, ma anche qui ci sono importanti differenze: i soggetti americani che, come detto, hanno raggiunto negli ultimi anni dimensioni considerevoli investono mediamente 104 milioni, mentre quelli anglosassoni 84 milioni e negli ultimi anni hanno ridotto il proprio peso rispetto al passato. Dall’altro lato, i francesi ricoprono un ruolo sempre maggiore e sono rivolti prevalentemente al mid market, con un taglio medio di 32 milioni. Le operazioni di venture capital hanno una dimensione media di due milioni. Le operazioni in infrastrutture sono generalmente più grandi e hanno una dimensione media di 175 milioni di euro. Nel private debt l’investimento medio degli operatori domestici è otto milioni di euro, mentre quello degli internazionali è pari a 40 milioni.

“Questa eterogeneità sia a livello di tipologia di attività sia di dimensione degli interventi realizzati è fondamentale per coprire le diverse esigenze che caratterizzano il tessuto industriale italiano” - dichiara Anna Gervasoni, direttore generale AIFI.

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