Il mercato del private capital è cambiato e cambierà nel prossimo triennio; quali sono le principali tendenze secondo il suo punto di vista?
Il nostro mercato ha beneficiato negli ultimi 15/20 anni di un’importante crescita sia dimensionale sia in termini di numero di operatori. Se all’inizio del 2000 in Italia vi erano molti player internazionali e pochi domestici oggi abbiamo una situazione in cui vi sono tanti operatori italiani presenti nelle varie asset class (equity, debito, infrastrutture e turnaround) che coprono di fatto tutte le dimensioni dei potenziali target eccezion fatta – ancora oggi - per i large buy-out territorio di conquista dei fondi stranieri multibillioner.
Siamo giunti al momento in cui è auspicabile per alcuni dei nostri gestori un percorso di consolidamento.
Oggi molti dei nostri grandi investitori domestici scartano validissime proposte di investimento di operatori italiani per la ridotta dimensione dei fondi gestiti piuttosto che per la loro focalizzazione esclusivamente locale.
Come investitori ricerchiamo aziende che possano crescere e diversificare la loro offerta di prodotti e la loro base clienti sia in termini geografici sia numerici. Questa ricetta mutatis mutandis va applicata anche alla nostra industry. In quest’ottica vediamo un settore che va anche verso SGR di maggiori dimensioni, multiprodotto e multi-geografie che – senza abdicare alla propria strategia di investimento – siano in grado di offrire fondi di una certa dimensione e di soddisfare le molteplici esigenze in termini di rischio, ritorno e liquidità delle diverse classi di investitori.
Sarebbe inoltre molto utile la nascita di nuovi fondi di fondi dedicati ad investire capitali domestici ed internazionali in fondi italiani che intendono invece perseguire una strategia più domestica a supporto delle sole piccole e medie aziende italiane.
Si percepisce, infine, l’esigenza che i regolatori – nell’interesse degli investitori - tutelino gli importanti sforzi e la governance che le SGR hanno implementato identificando adeguati presidi per indirizzare le diverse forme di investimento non regolate che – su base ricorrente - sollecitano il risparmio privato.
Questi mesi possono essere una grande opportunità per l’economia italiana e per le tante imprese che la compongono; quali le sue previsioni o aspettative?
Le nostre aziende sono uscite bene da un 2020 che si è rivelato migliore rispetto alle previsioni più pessimistiche. Il 2021 è stato un anno positivo anche se a partire da maggio abbiamo assistito ad un generale innalzamento del costo di fare impresa, inatteso soprattutto nella portata.
Siamo positivi e vogliamo ritenere che parte di questi aumenti sia figlio di una normalizzazione rispetto allo shock vissuto per via dei prolungati lockdown e dei nuovi equilibri che si sono via via formati nei mesi successivi.
Ci aspettiamo un 2022 che andrà compreso soprattutto in termini di marginalità. Pensiamo che nel medio termine – smaltita la coda del lockdown - si ritornerà ad intravvedere i margini del 2019. Il tutto rimane esposto ai rischi di una pandemia – ora con la versione Omicron – che sebbene gestita, continua a riservarci sorprese.
Quale il ruolo dei fondi da lei gestiti? Cosa servirebbe per poter fare di più per l’economia reale?
Negli anni siamo cresciuti senza soluzione di continuità in termini di competenza, aggiungendo via via una nuova strategia che traeva spunto anche da quello che avevamo imparato nel gestire la precedente. Ciò ci ha consentito di diventare la principale piattaforma di alternative asset in Italia.
In particolare, l’obiettivo di tutte le nostre strategie dirette sia di equity sia di turnaround è quello di affiancare i nostri imprenditori e le nostre aziende in un percorso di crescita e di rilancio. In primis portiamo le buone abitudini del private equity ma soprattutto vogliamo rappresentare un sounding board che molto spesso in aziende di media dimensione conta tanto quanto l’apporto di equity. Di ciò abbiamo avuto prova concreta durante lo scorso anno, a partire dall’inizio del lockdown, dove la vicinanza a management e imprenditori li ha aiutati ad affrontare una delle più grandi incertezze che hanno mai vissuto. Ciò ha contribuito a che le nostre aziende – soprattutto per quelle in ristrutturazione – siano uscite più forti di prima e consce del valore inespresso che avevano al loro interno.
Abbiamo abbracciato con convinzione le tematiche ESG, punto di riferimento importante del nostro agire anche prima della loro formalizzazione negli ultimi anni. Per noi ESG non è solamente risparmio di emissioni CO2: in quest’ottica con Sviluppo Sostenibile – l’ultimo fondo che abbiamo lanciato - abbiamo colto la sfida di legare parte del carried interest ad un’effettiva crescita ESG misurata da un advisor indipendente.
In Italia vi sono aziende meritevoli, grandi e piccole che ancora oggi, seppur in un quadro nettamente migliore, continuano ad avere difficoltà di accesso ai giusti strumenti di capitale per supportare la loro crescita e rilancio. Questa è la vera parte di economia reale che ha bisogno non solo del nostro supporto ma anche di un supporto istituzionale: se associamo questo ultimo alle capacità finanziarie e manageriali di playerprofessionisti privati, si genera un volano in termini di disponibilità finanziarie per il rilancio e lo sviluppo. Noi siamo pronti a giocare una sfida in quest’ottica certi che iniziative sane, solide e scalabili, possano attirare sia tante risorse private che pubbliche e di soggetti istituzionali come fondi pensione, fondazioni bancarie e fondi di fondi dedicati al rilancio e allo sviluppo del Paese, supportando tra l’altro una crescita ed un consolidamento del ruolo della nostra industry.